DESCRIZIONE SOMMARIA
L’ immaginazione è, in generale, la capacità o il processo di produrre immagini mentali e idee.
Il termine ‘immaginazione’ entra a far parte del lessico filosofico fin dagli inizi della storia
del pensiero filosofico occidentale e designa una capacità di cui si è continuato sempre a
discutere,considerandola per lo più come la marca peculiare della facoltà umana di oltrepassare
la mera presenzialità delle cose e degli eventi che si prestano alla nostra esperienza.
La definizione aristotelica dell’immaginazione, che troviamo nel De Anima, ha segnato la doppia
valenza filosofica di questo termine, vale a dire la teorizzazione della facoltà dell’immaginazione
come facoltà legata ai sensi, da un lato, e all’intelletto dall’altro.
Su questo doppio binario logico-semantico, il pensiero occidentale ha fatto scorrere una molteplicità di approcci alla questione, assegnandole uno spazio teoretico di grande importanza
sul piano della teoria della conoscenza oltre che su quello più specifico della teoria dell’arte.
Secondo la definizione di Aristotele, l’immaginazione è infatti «la facoltà di trattenere l’immagine
di cose sensibili o intelligibili assenti» e fa parte della costituzione stessa dell’anima, la quale è
appunto formata da «senso, immaginazione e intelletto».
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
L’uso dell’immaginazione, non possiamo applicarlo, porlo in determinati contesti, poiché l’immaginazione è una facoltà, un dono, che noi tutti possediamo, la capacità di allontanarci dalla
realtà per rifugiarsi in mondi sconosciuti, interiori a noi stessi.
Gli stessi bambini, non avendo una concezione della realtà radicata in loro, non essendo portatori,
attori di determinati spazi del reale, facilmente riescono a distaccarsi dalla realtà, e a vivere
in un mondo immaginario, fantasioso.
Essa è, quindi, la facoltà creativa presente negli uomini. Non esistono contesti indicati nell’uso
dell’immaginazione, ma solo persone indicate a farlo, appunto perche riescono a distaccarsi
dalla realtà e a creare nuove forme, nuovi suoni, la fantasia non ha limitazioni, la possiamo cogliere nelle arti figurative e non, nei testi, anche nelle scienze per poter formulare nuove ipotesi
e punti di partenza alle indagini.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
“Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro
di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte... Credo nella morte delle emozioni e nel
trionfo dell’immaginazione...”
Re/Search - J.G. Ballard
“O immaginazione, che hai il potere d’importi alle nostre facoltà e alla nostra volontà e di rapirci
in un mondo interiore strappandoci al mondo esterno, tanto che anche se suonassero
mille trombe non ce ne accorgeremmo..”
Italo Calvino, Lezioni americane,
“Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di
uomini a metà, fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà, vuol
dire che è fatta male e bisogna cambiarla. Per cambiarla occorrono uomini creativi, che
sappiano usare la loro immaginazione. (...) Sviluppiamo la creatività di tutti, perché il mondo
cambi.”
G. Rodari, La grammatica della Fantasia
“La coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive d’immaginazione”
“L’immaginazione è una qualità che è stata concessa all’uomo per compensarlo di ciò che
egli non è, mentre il senso dell’umorismo gli è stato dato per consolarlo di quel ch’Egli è.”
Oscar Wilde
Qui sopra abbiamo presentato dei piccoli passi, presi da importanti autori/scrittori, nel quale
focalizzano e danno un senso proprio alla fantasia, il quale non ha nessuna limitazione, nessun
contesto specifico, si presenta come un oceano dove in sé vivono mille forme, mille colori, mille
modi…
Quindi vere e proprie modalità di esecuzione non esistono, sono strettamente soggettive a
seconda della visione, della percezione che ognuno di noi tiene alla realtà e alla sua capacità di
allontanarsi da essa, tanto più potremmo scappare da essa, dalla realtà, tanto più potremmo
dare spazio all’immaginazione.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non possiamo dare una nozione di tempo a tale tecnica, in quanto l’atto creativo può derivare
da un percorso, da uno studio, da un progetto formato da una o più persone, dato da un processo
che è in continuo movimento condizionato dalle nostre idee, dalle nostre emozioni e dal
nostro stato. Come l’atto di genio può arrivare seduti sul nostro wc mentre cerchiamo la carta
igenica. il tempo è indefi nito.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Reali strumenti non esistono al di fuori di noi, della nostra mente, della nostra fantasia, certo
un foglio e una matita ci possono essere di grande aiuto, per imprimere un’idea o annotazioni
importanti da non dimenticare.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
L’immaginazione è una facoltà, un dono, che noi tutti possediamo, la capacità di allontanarci
dalla realtà per rifugiarsi in mondi sconosciuti, interiori a noi stessi. Essa è, quindi, la facoltà
creativa presente negli uomini. Non esistono contesti indicati nell’uso dell’immaginazione, ma
solo persone indicate a farlo.
“Solo persone indicate a farlo” questo è il limite, che possiamo incontrare, o siamo disposti per
tale tecnica, altrimenti l’arrivo non è inesistente o irraggiungibile, si presenta solo più lontano e
più diffi cile da poter raggiungere. Di certo a tale tecnica non la possiamo applicare su persone
razionali, costruite nel loro mondo, osservanti delle norme e degli atteggiamenti, perche l’uso
di tale tecnica a volte, trovo essenziale, saper trasgredire, fuggire dalla realtà per poter trovare
nuove soluzioni e saper essere originali.
domenica 15 febbraio 2009
Ideatoons
DESCRIZIONE SOMMARIA
La tecnica dell’ideatoons è basata sul lavoro di 3 architetti, Christopher Alexander, Sara Ishikawa e Murray Silverstein che, nel 1977, usarono un’attività di pensiero conosciuta come il
“linguaggio pattern” che li aiutasse a creare nuovi aspetti per gli edifici. Gli architetti svilupparono un sistema di simboli visivi astratti da sostituire alle parole. Ogni simbolo rappresentava un particolare attributo del problema. I simboli aiutavano per tirar fuori le potenziali relazioni tra gli attributi che, una volta identificate, possono generare idee. Per esempio, le frecce verticali che puntano verso una linea curva nella parte superiore di una pagina. Questo simbolo può suggerire differenti vie di costruzione o sostenere un arco.
Micheal Michalko nel 1991 ha adottato questo metodo visivo e l’ha usato per descrivere l’Ideatoons, la rappresentazione grafica di un problema. Non bisogna essere degli artisti per usare questa tecnica, si necessita solamente l’abilità di disegnare qualcosa che assomigli lontanamente a qualcos’altro!
Il metodo libera il pensiero dal mondo delle parole utilizzando il potere delle figure, delle immagini, degli schemi. Si utilizza appunto il linguaggio pattern, un certo numero di simboli visivi
astratti che vengono sostituiti alle parole.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
Questa tecnica è utile per ottenere un approccio fantasioso e creativo ad un problema. Liberando
la nostra mente dal supporto delle parole scritte e focalizzandola su un linguaggio di tipo
visivo, ci aiuta a elaborare vie e soluzioni insolite e creative. Appare quindi particolarmente indicata in casi in cui sia auspicabile seguire un percorso inedito e diverso da quelli abitualmente
battuti.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
La tecnica si suddivide in diversi punti:
- Dividere il problema nelle sue maggiori caratteristiche.
- Illustrare ogni caratteristica con un simbolo grafico astratto. Ogni illustrazione dovrebbe
rappresentare un attributo specifico ed essere su un singolo foglio.
Si disegna qualsiasi cosa che si ritenga giusta. Bisogna focalizzarsi sulla natura di ciò che si
rappresenta senza soffermarsi troppo sulla parte artistica del disegno. Sulla parte posteriore
del foglio si deve scrivere la caratteristica.
- Si dispongono tutti i foglietti dalla parte dell’illustrazione su un tavolo. Raggruppare i simboli
in gruppi che abbiano una certa relazione. Prova a lasciar che le carte si dispongano
senza una disposizione conscia, come se volessero dirti dove vorrebbero esser messe.
Mescola e abbina i simboli per provocare le idee.
- Cerca le idee e i pensieri che si possano collegare o abbinare al tuo problema. Provare
a forzare le relazioni. Prova a fare delle associazioni libere. Prova queste disposizioni come
provocazioni.
- Una volta interrotto il processo di ricercare idee si può aggiungere un altro ideatoons oppure
iniziarne uno nuovo.
Si utilizza il sistema dell’ideatoons per cercare una soluzione, usando le immagini per aiutare
la risposta, la soluzione al problema.
- Riorganizzando fisicamente le carte si creeranno nuovi rapporti e si provocheranno nuove
idee. Si può provare a ruotare, cambiare, modificare i simboli per cercare nuove disposizioni.
Bisogna continuare a manipolare i simboli per non porre limiti all’immaginazione.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
All’incirca 45 min
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Fogli e pennarelli per i partecipanti
CONSIDRAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Ideatoons è uno strumento che ci permette di esprimere, vedere e pensare la sfida di lavoro in
un modo diverso e unico “insaporendola” con la salsa delle immagini.
Il linguaggio dei pattern aumenta la capacità di dividere l’intero in più parti e raggruppare le
parti in una varietà di nuovi pattern. I simboli possono anche aiutare a sviluppare una visione
più profonda in ogni situazione.
Le immagini stimolano l’immaginazione e forniscono un cambiamento favorevole dopo esser
state inondate con le parole. Le immagini permettono di guardare la sfida da un nuovo punto
di vista. Si può vedere l’idea saltare sul tavolo come un pollo che prova ad evitare di diventare
il pranzo domenicale.
La tecnica dell’ideatoons è basata sul lavoro di 3 architetti, Christopher Alexander, Sara Ishikawa e Murray Silverstein che, nel 1977, usarono un’attività di pensiero conosciuta come il
“linguaggio pattern” che li aiutasse a creare nuovi aspetti per gli edifici. Gli architetti svilupparono un sistema di simboli visivi astratti da sostituire alle parole. Ogni simbolo rappresentava un particolare attributo del problema. I simboli aiutavano per tirar fuori le potenziali relazioni tra gli attributi che, una volta identificate, possono generare idee. Per esempio, le frecce verticali che puntano verso una linea curva nella parte superiore di una pagina. Questo simbolo può suggerire differenti vie di costruzione o sostenere un arco.
Micheal Michalko nel 1991 ha adottato questo metodo visivo e l’ha usato per descrivere l’Ideatoons, la rappresentazione grafica di un problema. Non bisogna essere degli artisti per usare questa tecnica, si necessita solamente l’abilità di disegnare qualcosa che assomigli lontanamente a qualcos’altro!
Il metodo libera il pensiero dal mondo delle parole utilizzando il potere delle figure, delle immagini, degli schemi. Si utilizza appunto il linguaggio pattern, un certo numero di simboli visivi
astratti che vengono sostituiti alle parole.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
Questa tecnica è utile per ottenere un approccio fantasioso e creativo ad un problema. Liberando
la nostra mente dal supporto delle parole scritte e focalizzandola su un linguaggio di tipo
visivo, ci aiuta a elaborare vie e soluzioni insolite e creative. Appare quindi particolarmente indicata in casi in cui sia auspicabile seguire un percorso inedito e diverso da quelli abitualmente
battuti.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
La tecnica si suddivide in diversi punti:
- Dividere il problema nelle sue maggiori caratteristiche.
- Illustrare ogni caratteristica con un simbolo grafico astratto. Ogni illustrazione dovrebbe
rappresentare un attributo specifico ed essere su un singolo foglio.
Si disegna qualsiasi cosa che si ritenga giusta. Bisogna focalizzarsi sulla natura di ciò che si
rappresenta senza soffermarsi troppo sulla parte artistica del disegno. Sulla parte posteriore
del foglio si deve scrivere la caratteristica.
- Si dispongono tutti i foglietti dalla parte dell’illustrazione su un tavolo. Raggruppare i simboli
in gruppi che abbiano una certa relazione. Prova a lasciar che le carte si dispongano
senza una disposizione conscia, come se volessero dirti dove vorrebbero esser messe.
Mescola e abbina i simboli per provocare le idee.
- Cerca le idee e i pensieri che si possano collegare o abbinare al tuo problema. Provare
a forzare le relazioni. Prova a fare delle associazioni libere. Prova queste disposizioni come
provocazioni.
- Una volta interrotto il processo di ricercare idee si può aggiungere un altro ideatoons oppure
iniziarne uno nuovo.
Si utilizza il sistema dell’ideatoons per cercare una soluzione, usando le immagini per aiutare
la risposta, la soluzione al problema.
- Riorganizzando fisicamente le carte si creeranno nuovi rapporti e si provocheranno nuove
idee. Si può provare a ruotare, cambiare, modificare i simboli per cercare nuove disposizioni.
Bisogna continuare a manipolare i simboli per non porre limiti all’immaginazione.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
All’incirca 45 min
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Fogli e pennarelli per i partecipanti
CONSIDRAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Ideatoons è uno strumento che ci permette di esprimere, vedere e pensare la sfida di lavoro in
un modo diverso e unico “insaporendola” con la salsa delle immagini.
Il linguaggio dei pattern aumenta la capacità di dividere l’intero in più parti e raggruppare le
parti in una varietà di nuovi pattern. I simboli possono anche aiutare a sviluppare una visione
più profonda in ogni situazione.
Le immagini stimolano l’immaginazione e forniscono un cambiamento favorevole dopo esser
state inondate con le parole. Le immagini permettono di guardare la sfida da un nuovo punto
di vista. Si può vedere l’idea saltare sul tavolo come un pollo che prova ad evitare di diventare
il pranzo domenicale.
sabato 14 febbraio 2009
Arte degli scarabocchi
DESCRIZIONE SOMMARIA
Frecce, linee ondulate, figure danzanti o astratte geometrie irrompono dai margini del foglio
di appunti mentre stiamo seguendo una conferenza, partecipiamo a una riunione di lavoro, o
parliamo al telefono.
Sembrano cose prive di importanza, eppure questi segni che tracciamo senza pensarci, rappresentano a tutti gli effetti un linguaggio non verbale che racconta in diretta le emozioni che
stiamo vivendo, rafforza quanto stiamo facendo o dicendo a voce, come la gestualità per il
linguaggio parlato.
Con l’effetto non trascurabile di rilassarci, se siamo tesi, o viceversa, di concentrarci, aumentando
la disponibilità all’ascolto, o anche di prendere tempo mentre giriamo attorno alla soluzione
di un problema.
Scarabocchiare non è fare schizzi. Fai schizzi quando siedi nel parco disegnando il paesaggio
o le persone sulle panchine del parco. Scarbocchiare è un gioco libero da ogni forma mentale.
Non stai sperimentando una tecnica o facendo degli abbozzi per un grande dipinto, stai solamente
riempendo degli spazi vuoti.
La parte più divertente di tutto questo è che non ti preoccupi del risultato finale.
Gli autori di questa tecnica sono Evi Crotti, Alberto Magni, Betty Edwards
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
Questa tecnica sembra particolarmente indicata come intrattenimento, durante una riunione,
una chiaccherata, anche quando siamo stressati iniziamo a disegnare forme di cui non conosciamo
il significato ne tanto meno il perche lo facciamo, ma ci rilassa.
Invece chi, come Salvador Dalì, Joan Miró… ne hanno fatto una vera e propria arte, il surrealismo, ovvero il dettato del pensiero, imprimere sulla tela, ogni cosa, a cui l’artista passava per la testa, senza porsi dei freni, lasciare che l’inconscio sia il vero autore.
Quindi possiamo dire contesti e attività particolarmente indicate non c’è ne possono essere.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Ma cosa succede al cervello mentre eseguiamo un disegno? Stacchiamo momentaneamente
la spina all’emisfero sinistro, deputato alla sfera logico-linguistica e mettiamo in gioco l’emisfero
destro, che segue principi spaziali e d’insieme. La dominanza dell’emisfero però non è così automatica, e chi disegna male, con la mano destra, spesso mantiene dominanti le elaborazioni
dell’emisfero sinistro, a scapito di quello destro.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Frecce, linee ondulate, fi gure danzanti o astratte geometrie irrompono dai margini del foglio
di appunti mentre stiamo seguendo una conferenza, partecipiamo a una riunione di lavoro, o
parliamo al telefono. Sembrano cose prive di importanza, eppure questi segni che tracciamo
senza pensarci, rappresentano a tutti gli effetti un linguaggio non verbale che racconta in diretta
le emozioni che stiamo vivendo.
Da quanto detto possiamo dire, una durata o un determinato tempo di esecuzione precisa non
può esistere, possiamo occupare pochi secondi del nostro tempo come per molto più tempo
a seconda della situazione ma soprattutto a seconda del nostro stato.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Un quaderno per gli scarabocchi.
Iniziare un quaderno per gli scarabocchi sarebbe un piccolo e simpatico aiuto alla creatività.
Prendi un piccolo quaderno degli appunti, possibilmente con carta liscia. Le righe non sono indispensabili.
Tieni una penna a portata di mano. Se usi un lapis potrebbe essere scambiato per
un quaderno da schizzi. E’ un quaderno solo per scarabocchi. Ora, quando guardi la TV o parli
al telefono, tiello a portata di mano. Butta giù parole che ti passano per la mente, disegna dei
simboli, semplicemente lasciati andare. Se ti va metti la data in cima alla pagina. Scommetto
che come passa il tempo e volti le pagine, sarai più onesto che se tu tenessi un diario. La parte
più divertente è che se qualcun altro lo guarda, vedrà soltanti disegni carini.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Attenzione che lo scarabbocchiare non si trasformi in una continua distrazione da ciò che stiamo
facendo!
Frecce, linee ondulate, figure danzanti o astratte geometrie irrompono dai margini del foglio
di appunti mentre stiamo seguendo una conferenza, partecipiamo a una riunione di lavoro, o
parliamo al telefono.
Sembrano cose prive di importanza, eppure questi segni che tracciamo senza pensarci, rappresentano a tutti gli effetti un linguaggio non verbale che racconta in diretta le emozioni che
stiamo vivendo, rafforza quanto stiamo facendo o dicendo a voce, come la gestualità per il
linguaggio parlato.
Con l’effetto non trascurabile di rilassarci, se siamo tesi, o viceversa, di concentrarci, aumentando
la disponibilità all’ascolto, o anche di prendere tempo mentre giriamo attorno alla soluzione
di un problema.
Scarabocchiare non è fare schizzi. Fai schizzi quando siedi nel parco disegnando il paesaggio
o le persone sulle panchine del parco. Scarbocchiare è un gioco libero da ogni forma mentale.
Non stai sperimentando una tecnica o facendo degli abbozzi per un grande dipinto, stai solamente
riempendo degli spazi vuoti.
La parte più divertente di tutto questo è che non ti preoccupi del risultato finale.
Gli autori di questa tecnica sono Evi Crotti, Alberto Magni, Betty Edwards
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
Questa tecnica sembra particolarmente indicata come intrattenimento, durante una riunione,
una chiaccherata, anche quando siamo stressati iniziamo a disegnare forme di cui non conosciamo
il significato ne tanto meno il perche lo facciamo, ma ci rilassa.
Invece chi, come Salvador Dalì, Joan Miró… ne hanno fatto una vera e propria arte, il surrealismo, ovvero il dettato del pensiero, imprimere sulla tela, ogni cosa, a cui l’artista passava per la testa, senza porsi dei freni, lasciare che l’inconscio sia il vero autore.
Quindi possiamo dire contesti e attività particolarmente indicate non c’è ne possono essere.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Ma cosa succede al cervello mentre eseguiamo un disegno? Stacchiamo momentaneamente
la spina all’emisfero sinistro, deputato alla sfera logico-linguistica e mettiamo in gioco l’emisfero
destro, che segue principi spaziali e d’insieme. La dominanza dell’emisfero però non è così automatica, e chi disegna male, con la mano destra, spesso mantiene dominanti le elaborazioni
dell’emisfero sinistro, a scapito di quello destro.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Frecce, linee ondulate, fi gure danzanti o astratte geometrie irrompono dai margini del foglio
di appunti mentre stiamo seguendo una conferenza, partecipiamo a una riunione di lavoro, o
parliamo al telefono. Sembrano cose prive di importanza, eppure questi segni che tracciamo
senza pensarci, rappresentano a tutti gli effetti un linguaggio non verbale che racconta in diretta
le emozioni che stiamo vivendo.
Da quanto detto possiamo dire, una durata o un determinato tempo di esecuzione precisa non
può esistere, possiamo occupare pochi secondi del nostro tempo come per molto più tempo
a seconda della situazione ma soprattutto a seconda del nostro stato.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Un quaderno per gli scarabocchi.
Iniziare un quaderno per gli scarabocchi sarebbe un piccolo e simpatico aiuto alla creatività.
Prendi un piccolo quaderno degli appunti, possibilmente con carta liscia. Le righe non sono indispensabili.
Tieni una penna a portata di mano. Se usi un lapis potrebbe essere scambiato per
un quaderno da schizzi. E’ un quaderno solo per scarabocchi. Ora, quando guardi la TV o parli
al telefono, tiello a portata di mano. Butta giù parole che ti passano per la mente, disegna dei
simboli, semplicemente lasciati andare. Se ti va metti la data in cima alla pagina. Scommetto
che come passa il tempo e volti le pagine, sarai più onesto che se tu tenessi un diario. La parte
più divertente è che se qualcun altro lo guarda, vedrà soltanti disegni carini.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Attenzione che lo scarabbocchiare non si trasformi in una continua distrazione da ciò che stiamo
facendo!
Lista di Osborn
DESCRIZIONE SOMMARIA
La tecnica della lista di Osborn è stata ideata da Alex Osborn, l’inventore del brainstorming, nel
1953. Tale tecnica è particolarmente adatta alle situazioni nelle quali esistono già idee o prodotti
che però rappresentano solo soluzioni convenzionali o poco soddisfacenti.
La lista di Osborn serve ad ampliare il campo di osservazione con una sequenza di domande.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La seguente tecnica è applicabile a qualsiasi campo/situazione in cui serva ridisegnare prodotti
o servizi già esistenti.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Si tratta di una tecnica con cui si pongono una serie di domande relativamente al prodotto o al
servizio da migliorare, al fine di analizzarlo in tutte le sue componenti. Si utilizza ogni verbo della
lista come stimolo per individuare cambiamenti del prodotto o del servizio.
Le domande/verbi sono le seguenti:
Utilizzabile per altri usi? Nuovi modi per utilizzarla? Ha altri usi se modifi cata?
Adattare?
Esiste altro come questo? Quale altra idea suggerisce? È già stata
utilizzata in passato? Che cosa si potrebbe copiare? Chi si pottrebbe emulare?
Modifi care?
Nuova versione? Cambiare il signifi cato, il colore, il movimento, il suono,
l’odore, la forma, la fi gura? Altre modifi che?
Ingrandire/ampliare?
Che cosa si può aggiungere? Più tempo, maggior frequenza, più forza?
Più durata, più componenti, più valori? Si può aggiungere, moltiplicare,
esagerare?
Ridurre?
Che cosa si può sottrarre? Si può rimpicciolire, condensare, riassumere,
minimizzare? Si può miniaturizzare, accorciare, schiarire? Si possono
omettere particolari?
Sostituire?
Con chi o cosa si può sostituire? Altri componenti, altri materiali? Il
processo si può anche organizzare diversamente?
Riorganizzare?
Come si può riorganizzare? Con altri modelli, disposizioni, sequenze?
Si può invertire causa-effetto? Cambiare il programma, le tempistiche?
Invertire?
Si può invertire positivo/negativo? Com’è l’opposto? Si può rovesciarlo,
invertirlo sottosopra? Invertire il ruolo?
Mescolare/combinare?
Come si può mescolare? Con una lega, una miscela, un assortimento,
un insieme? Si può combinare unità, scopi, aspetti, idee? Si può collegare
l’idea ad altre?
Trasformare?
Si può addensare, dilatare? Solidifi care, liquefare, rendere
trasparente?
Alla fine delle domande bisogna assicurarsi di aver utilizzato tutte le parole fornite come stimolo
dalla lista di Osborn.
Successivamente bisogna analizzare nuovamente tutte le proposte individuate al fine di determinare quali incontrano realmente le necessità espresse.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non è stato determinato un tempo di esecuzione preciso.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Non sono stati individuati eventuali strumenti di supporto, se non semplici materiali di cancelleria.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
La lista di Osborne sembra essere un metodo efficacie e facilmente applicabile data la sua
sistematicità. È tuttavia importante tenere presente sempre ciò che rappresenta le radici, l’origine del problema che si vuole analizzare, per non rischiare di arrivare ad una soluzione che
assomigli poco ad una soluzione vera e proprio. Bisogna tenere conto poi che, soprattutto se
prendiamo come esempio un oggetto che venga modificato seguendo i dettami della lista al
fine di essere lanciato sul mercato, non sempre il consumatore vedrà di buon occhio un prodotto
modificato e reso quasi irriconoscibile da ciò che era in precedenza, preferendo talvolta la
vecchia versione (una caffettiera è utile e conveniente che assomigli sempre ad una caffettiera
ed assuma il suo solito, semplice compito!).
La tecnica della lista di Osborn è stata ideata da Alex Osborn, l’inventore del brainstorming, nel
1953. Tale tecnica è particolarmente adatta alle situazioni nelle quali esistono già idee o prodotti
che però rappresentano solo soluzioni convenzionali o poco soddisfacenti.
La lista di Osborn serve ad ampliare il campo di osservazione con una sequenza di domande.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La seguente tecnica è applicabile a qualsiasi campo/situazione in cui serva ridisegnare prodotti
o servizi già esistenti.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Si tratta di una tecnica con cui si pongono una serie di domande relativamente al prodotto o al
servizio da migliorare, al fine di analizzarlo in tutte le sue componenti. Si utilizza ogni verbo della
lista come stimolo per individuare cambiamenti del prodotto o del servizio.
Le domande/verbi sono le seguenti:
Utilizzabile per altri usi? Nuovi modi per utilizzarla? Ha altri usi se modifi cata?
Adattare?
Esiste altro come questo? Quale altra idea suggerisce? È già stata
utilizzata in passato? Che cosa si potrebbe copiare? Chi si pottrebbe emulare?
Modifi care?
Nuova versione? Cambiare il signifi cato, il colore, il movimento, il suono,
l’odore, la forma, la fi gura? Altre modifi che?
Ingrandire/ampliare?
Che cosa si può aggiungere? Più tempo, maggior frequenza, più forza?
Più durata, più componenti, più valori? Si può aggiungere, moltiplicare,
esagerare?
Ridurre?
Che cosa si può sottrarre? Si può rimpicciolire, condensare, riassumere,
minimizzare? Si può miniaturizzare, accorciare, schiarire? Si possono
omettere particolari?
Sostituire?
Con chi o cosa si può sostituire? Altri componenti, altri materiali? Il
processo si può anche organizzare diversamente?
Riorganizzare?
Come si può riorganizzare? Con altri modelli, disposizioni, sequenze?
Si può invertire causa-effetto? Cambiare il programma, le tempistiche?
Invertire?
Si può invertire positivo/negativo? Com’è l’opposto? Si può rovesciarlo,
invertirlo sottosopra? Invertire il ruolo?
Mescolare/combinare?
Come si può mescolare? Con una lega, una miscela, un assortimento,
un insieme? Si può combinare unità, scopi, aspetti, idee? Si può collegare
l’idea ad altre?
Trasformare?
Si può addensare, dilatare? Solidifi care, liquefare, rendere
trasparente?
Alla fine delle domande bisogna assicurarsi di aver utilizzato tutte le parole fornite come stimolo
dalla lista di Osborn.
Successivamente bisogna analizzare nuovamente tutte le proposte individuate al fine di determinare quali incontrano realmente le necessità espresse.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non è stato determinato un tempo di esecuzione preciso.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Non sono stati individuati eventuali strumenti di supporto, se non semplici materiali di cancelleria.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
La lista di Osborne sembra essere un metodo efficacie e facilmente applicabile data la sua
sistematicità. È tuttavia importante tenere presente sempre ciò che rappresenta le radici, l’origine del problema che si vuole analizzare, per non rischiare di arrivare ad una soluzione che
assomigli poco ad una soluzione vera e proprio. Bisogna tenere conto poi che, soprattutto se
prendiamo come esempio un oggetto che venga modificato seguendo i dettami della lista al
fine di essere lanciato sul mercato, non sempre il consumatore vedrà di buon occhio un prodotto
modificato e reso quasi irriconoscibile da ciò che era in precedenza, preferendo talvolta la
vecchia versione (una caffettiera è utile e conveniente che assomigli sempre ad una caffettiera
ed assuma il suo solito, semplice compito!).
Meditazione
DESCRIZIONE SOMMARIA
La meditazione è uno strumento molto potente, con innumerevoli effetti:
- Il recupero energetico, attraverso l’abbassamento del metabolismo basale, cioè del livello
di energia necessaria a mantenere in vita una persona in assoluto riposo;
- La regolazione del sistema nervoso autonomo, simpatico (diurno) e parasimpatico (notturno).
La meditazione serve a ridurre lo stress;
- L’affinamento della percezione, cioè un aumento della sensibilità riguardo agli stimoli esterni,
che affluiscono in maniera più vivida;
- Lo sviluppo dell’attenzione e della concentrazione, che garantisce una maggiore presenza
al proprio corpo e alla realtà esterna;
Ai fini della crescita interiore, che è ciò che più c’interessa, la meditazione è lo strumento migliore
per sviluppare la presenza mentale, che permette un graduale allargamento del campo
della consapevolezza;
Cosa comporta nella creatività?
Le emozioni sono condizioni indispensabili al nostro processo creativo; il nostro stress, la nostra
negatività, il nostro malumore, limitano se non escludono il nostro processo creativo, rivolgendo
il nostro stato in una fase di disattenzione alle cose, allontanandoci dalla realtà attorno a noi.
La meditazione, come abbiamo già accennato, è una pratica di concentrazione su uno o più
oggetti, immagini, pensieri a scopo di un miglioramento delle proprie condizioni psicofisiche.
Tale pratica risale al VII d.C.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La meditazione è una pratica al quale si apre a ogni campo, anche se tale tecnica è particolarmente difficile e richiede diversa esperienza in questa pratica.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Si sente spesso riportare l’espressione “svuota la tua mente” come principio guida per la meditazione.
Già... come se bastasse dirlo, per ottenere una mente vuota, libera, silenziosa.
La mente non ubbidisce a queste esortazioni. Anzi, più si usano modi coercitivi, meno risultati
otteniamo. Il modo migliore per arrivare al dominio della nostra mente, allora, è di aggirare
l’ostacolo, intervenendo non in maniera diretta sulla mente, ma sul corpo: innanzitutto, attraverso la postura, in secondo luogo con il rilassamento, e infine con la respirazione.
Il corpo con le sue sensazioni si presta, infatti, ad essere un ottimo sostegno per la meditazione.
Tutti i maestri consigliano di iniziare la pratica meditativa focalizzando l’attenzione sul corpo,
e in primo luogo sul flusso del respiro, l’unico movimento all’interno di un’altrimenti assoluta
stabilità e immobilità fisiche.
Praticando la presenza mentale del respiro, ad un certo stadio, si persegue prima la pacificazione
del respiro, fino a rendere il respiro sempre più fine e sottile e il suo flusso più armonioso.
Il meditante raggiunge, così, un profondo senso di quiete (samatha). A questo punto,
attraverso un leggero spostamento della messa a fuoco, si può passare alla pratica della visione
profonda (vipassana).
Ogni qualvolta la mente va alla deriva o segue un pensiero casuale, basta prenderne coscienza
e ritornare ai movimenti in su e in giù dell’addome. In questo modo, quando facciamo
meditazione, la mente segue sempre il respiro.
Successivamente bisogna analizzare nuovamente tutte le proposte individuate al fine di determinare quali incontrano realmente le necessità espresse.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Tale tecnica può richiedere diverso tempo a seconda dello stato in cui è il soggetto.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Non vi sono strumenti di supporto al dì fuori della mente.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Trattandosi di una tecnica che si riferisce più al benessere psico-fisico che all’incremento creativo, risulta essere cosa assai complessa da mettere in pratica, soprattutto senza affidarsi ad
alcun tipo di guida.
La meditazione è uno strumento molto potente, con innumerevoli effetti:
- Il recupero energetico, attraverso l’abbassamento del metabolismo basale, cioè del livello
di energia necessaria a mantenere in vita una persona in assoluto riposo;
- La regolazione del sistema nervoso autonomo, simpatico (diurno) e parasimpatico (notturno).
La meditazione serve a ridurre lo stress;
- L’affinamento della percezione, cioè un aumento della sensibilità riguardo agli stimoli esterni,
che affluiscono in maniera più vivida;
- Lo sviluppo dell’attenzione e della concentrazione, che garantisce una maggiore presenza
al proprio corpo e alla realtà esterna;
Ai fini della crescita interiore, che è ciò che più c’interessa, la meditazione è lo strumento migliore
per sviluppare la presenza mentale, che permette un graduale allargamento del campo
della consapevolezza;
Cosa comporta nella creatività?
Le emozioni sono condizioni indispensabili al nostro processo creativo; il nostro stress, la nostra
negatività, il nostro malumore, limitano se non escludono il nostro processo creativo, rivolgendo
il nostro stato in una fase di disattenzione alle cose, allontanandoci dalla realtà attorno a noi.
La meditazione, come abbiamo già accennato, è una pratica di concentrazione su uno o più
oggetti, immagini, pensieri a scopo di un miglioramento delle proprie condizioni psicofisiche.
Tale pratica risale al VII d.C.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La meditazione è una pratica al quale si apre a ogni campo, anche se tale tecnica è particolarmente difficile e richiede diversa esperienza in questa pratica.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Si sente spesso riportare l’espressione “svuota la tua mente” come principio guida per la meditazione.
Già... come se bastasse dirlo, per ottenere una mente vuota, libera, silenziosa.
La mente non ubbidisce a queste esortazioni. Anzi, più si usano modi coercitivi, meno risultati
otteniamo. Il modo migliore per arrivare al dominio della nostra mente, allora, è di aggirare
l’ostacolo, intervenendo non in maniera diretta sulla mente, ma sul corpo: innanzitutto, attraverso la postura, in secondo luogo con il rilassamento, e infine con la respirazione.
Il corpo con le sue sensazioni si presta, infatti, ad essere un ottimo sostegno per la meditazione.
Tutti i maestri consigliano di iniziare la pratica meditativa focalizzando l’attenzione sul corpo,
e in primo luogo sul flusso del respiro, l’unico movimento all’interno di un’altrimenti assoluta
stabilità e immobilità fisiche.
Praticando la presenza mentale del respiro, ad un certo stadio, si persegue prima la pacificazione
del respiro, fino a rendere il respiro sempre più fine e sottile e il suo flusso più armonioso.
Il meditante raggiunge, così, un profondo senso di quiete (samatha). A questo punto,
attraverso un leggero spostamento della messa a fuoco, si può passare alla pratica della visione
profonda (vipassana).
Ogni qualvolta la mente va alla deriva o segue un pensiero casuale, basta prenderne coscienza
e ritornare ai movimenti in su e in giù dell’addome. In questo modo, quando facciamo
meditazione, la mente segue sempre il respiro.
Successivamente bisogna analizzare nuovamente tutte le proposte individuate al fine di determinare quali incontrano realmente le necessità espresse.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Tale tecnica può richiedere diverso tempo a seconda dello stato in cui è il soggetto.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Non vi sono strumenti di supporto al dì fuori della mente.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Trattandosi di una tecnica che si riferisce più al benessere psico-fisico che all’incremento creativo, risulta essere cosa assai complessa da mettere in pratica, soprattutto senza affidarsi ad
alcun tipo di guida.
Analisi di vulnerabilità
DESCRIZIONE SOMMARIA
La tecnica dell’analisi di vulnerabilità viene descritta da Bertone V. in “Creatività aziendale. Metodi, tecniche; casi per valorizzare il potenziale creativo di manager, imprenditori” nel 1993.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La tecnica deve essere applicata in gruppo. Questo deve essere eterogeneo, libero da inibizioni
ed includere alcuni esperti del tema che si esplora.
La tecnica non richiede specifici requisiti e, in particolare, il gruppo di lavoro non necessità di
formazione.
Non viene indicata una metodologia per l’individuazione dei pilastri dell’azienda, se non attraverso una serie di esempi.
L’autore dell’analisi della vulnerabilità ritiene che ogni business è sostenuto da “pilastri”, l’obiettivo di questa tecnica è individuare i pilastri su cui l’azienda si fonda ed analizzare le possibili azioni da intraprendere in risposta agli eventi che possono danneggiare tali pilastri.
Questa tecnica si applica alle Aree Strategiche d’Affari (ASA), definite come combinazione prodotto - mercato - tecnologia dell’azienda.
Ciascuna ASA può essere distrutta, minacciata o danneggiata da eventi esterni sui quali l’impresa
ha scarso o nessun controllo.
Questa tecnica permette di analizzare tali pilastri e ricavare informazioni utili per le scelte strategiche aziendali (ad es. l’introduzione delle telecamere elettroniche hanno portato alla distruzione del business delle cineprese “super 8” e relativi proiettori).
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
L’oggetto dell’analisi di vulnerabilità è suddiviso in due gruppi:
- attori esterni all’impresa, che non sono controllabili dall’azienda stessa (ad es. risorse,
alcuni input);
- fattori esterni al sistema competitivo ristretto, ovvero gli elementi per i quali l’impresa non
è in grado di difendersi a meno che non ricorra ad innovazioni radicali.
Le fasi che compongono tale tecnica sono:
- Identificazione dei pilastri del business; ossia degli elementi dai quali dipende la sopravvivenza
e la continuità di un settore e delle imprese che vi operano.
- Generazione di idee a ruota libera sugli eventi che possono danneggiare o distruggere uno
o più pilastri del business (vedi Brainstorming, tecniche di processo creativo).
- Valutazione della probabilità di accadimento dell’evento e del suo impatto (vedi tecniche
di valutazione).
L’attenzione da dedicarsi ad una data minaccia dovrebbe essere proporzionale non solo
alla probabilità dell’evento, ma al prodotto della probabilità per l’impatto. È da evitarsi l’atteggiamento delle direzioni aziendali che, considerando un evento poco probabile, non si
occupano di valutarne l’impatto.
- Identificazione delle azioni da intraprendersi.
Le azioni devono distinguersi in azioni da intraprendersi subito o al verificarsi dell’evento
pericoloso. Infatti l’azienda può reagire subito o predisporre delle azioni, ma rinviarne l’attuazione nel tempo, in attesa di un rafforzamento della probabilità di accadimento degli
eventi pericolosi.
Pur essendo la tecnica suddivisa in 4 fasi, si può notare come la prima sia prevalente rispetto
le altre. La parte discriminante di questa tecnica consiste proprio nell’analisi dei pilastri.
Le altre fasi potranno essere sviluppate anche con l’ausilio delle altre tecniche. L’analisi della
vulnerabilità è stata posizionata nella Mappatura Esterna proprio per il peso attribuito alla
prima fase. L’autore individua 8 tipi di pilastri, e sostiene che quando uno vacilla è necessario
innovare. L’identificazione dei pilastri non è cosa ovvia se si considera che questi non
coincidono con i fattori critici di successo del business.
La classificazione dei pilastri è la seguente:
1. Bisogni o funzioni d’uso
Ogni business soddisfa bisogni che sono soggetti ad evolvere nel tempo e in molti casi il
bisogno soddisfatto è scomparso senza che le imprese avessero la capacità e le risorse
per innovare e sopravvivere. È il caso del regolo calcolatore, che serviva per fare i conti
velocemente. La diffusione delle calcolatrici tascabili ha consentito di assolvere alla stessa
funzione più efficacemente. Le aziende produttrici di regoli, non disponendo della capacità
di entrare in concorrenza con i produttori di calcolatori tascabili, non hanno potuto far altro
che accettare il declino del loro business.
2. Usi, consuetudini, valori
Bertone sostiene che l’esistenza di valori sociali è il pilastro di molti business e quindi che la
relativa analisi dei cambiamenti è molto utile all’attività di innovazione di prodotti e servizi.
Esempio:
«Se il valore prevalente è il consumo, l’individuo si domanda: “Cosa vorrei avere tra le cose
che non posseggo?”. Se, invece, da un atteggiamento consumista, si passa a dare maggiore
peso alle esperienze, ci si chiede: “Quale, tra le esperienze che non ho fatto, vorrei
fare?”. Il manager consumista sarà felice di avere in regalo una stilografica in oro firmata da
Giugiaro. Il manager esperienzialista desidererà un buono per un viaggio, un corso di formazione,
l’abbonamento ad una serie di spettacoli teatrali.» (Bertone, 1993, p.124)
3. Stabilità delle tecnologie
Molti business dipendono da una tecnologia incorporata nel prodotto o nel processo produttivo.
Un esempio ormai noto è il mercato degli orologi con tecnologia meccanica. L’avvento
dell’elettronica ha portato l’industria svizzera a subire una forte contrazione del proprio mercato.
In questo caso le aziende di orologi svizzere si sono trovate “senza pilastro” e conseguentemente
l’introduzione nel settore di prodotti basati sull’elettronica.
Dopo un decennio di crisi, un consorzio di produttori svizzeri (la SMH) ha saputo offrire una
risposta innovativa al mondo degli orologi elettronici: lo Swatch, che ha risollevato l’industria
dell’orologeria elvetica proprio nel momento in cui sembrava messa in ginocchio dai produttori
giapponesi e di Hong Kong.
Esempio:
«Ernst Thomke uno degli inventori dello Swatch, ha dichiarato di aver puntato sulla necessità
di battere la concorrenza sul prezzo. Il prezzo competitivo dipende dalla concezione del
prodotto-processo. Grazie all’aiuto dei progettisti, Elmar Mock e Jacques Mueller, nasce un
meccanismo rivoluzionario, composto solamente da 51 elementi, circa la metà di quelli di
cui è dotato un tradizionale orologio elettronico con movimento al quarzo. La cassa, stampata
a microiniezione con un materiale sintetico resistentissimo, funge anche da piastra di
montaggio su cui vengono fissati i componenti mediante saldatura ed ultrasuoni. Il vetro -
ovviamente in plastica - non può mai essere sostituito, peraltro il sistema di saldatura rende
l’orologio impermeabile fino a 30 metri di profondità.» (Bertone, 1993, p.124)
Il basso costo di fabbricazione del prodotto ha portato la Swatch al successo. La strategia
di marketing ha fornito un contributo determinante al consolidamento dell’idea di business
dello Swatch che, vendendo circa 10 milioni di orologi all’anno, controlla oltre il 30% del suo
segmento di mercato.
4. Input e risorse
Ogni business richiede delle risorse, anche quelle date per scontate, come la disponibilità di
materie prime, l’energia, i servizi accessori (posta, telefono, sicurezza, ...), e una di queste
risorse può costituire un pilastro del business. Tuttavia , generalmente, l’attenzione della direzione aziendale è centrata sulle risorse che più incidono sulla struttura dei costi, piuttosto
che su risorse critiche per l’esistenza del business. Queste ultime infatti non sono ritenute
importanti finchè non sorge un problema.
5. Nicchia o segmento di mercato
Bertone sostiene che quando i clienti sono pochi il business è molto vulnerabile e cita
l’esempio della Piaggio che un tempo vendeva l’80% dei suoi ciclomotori a ragazzi con
meno di 18 anni. Dunque l’azienda era dipendente da un solo segmento di mercato. I pilastri
su cui si basava il business dei ciclomotori erano la possibilità di guidare senza casco,
senza targa, e senza patente. In particolare l’azienda riteneva che le ragazzine non avrebbero
gradito l’uso del casco che nel 1986 divenne obbligatorio. Contemporaneamente, però,
molti automobilisti cominciarono a spostarsi in ciclomotore per evitare il traffico cittadino,
creando così nuove opportunità di sviluppo per la Piaggio.
6. Vincoli esistenti, sanzioni, incentivi
I vincoli, le sanzioni e gli incentivi imposti dalle leggi delimitano lo spazio operativo nel quale
le aziende possono muoversi. Può accadere che una azienda che si trovi ad avere un vantaggio
competitivo venga annullato dalle modifiche di alcune normative. Vengono di seguito
proposti due esempi per meglio comprendere la problematica:
Esempio 1:
«I prodotti farmaceutici non possono essere posti in vendita senza autorizzazione ufficiale
degli enti preposti alla sorveglianza della sanità. L’autorizzazione è subordinata a periodi di
sperimentazione di oltre dieci anni. Tale regolamentazione si applica però alle sole specialità
farmaceutiche, e non si estende ai prodotti cosiddetti cosmetici. È da ritenersi che una più
severa regolamentazione dei prodotti offerti dalle aziende di cosmesi, che richiedesse una
maggiore evidenza sull’efficacia del prodotto o una più rigorosa sperimentazione tesa a verificare
l’assenza di pericolosi “effetti collaterali”, potrebbe seriamente minacciare la struttura
del business.
Aziende leader, come l’Oreal e Shiseido, probabilmente potrebbero adattarsi al nuovo contesto
modificando radicalmente l’approccio e la struttura attuale caratterizzata da spese di
marketing che raggiungono anche il 40% del fatturato.
Le aziende minori, caratterizzate da un approccio al business per certi aspetti “piratesco”, si
troverebbero nell’impossibilità di sperimentare e garantire la qualità dei loro prodotti, quindi
sarebbero destinate a scomparire.»
Esempio 2:
«Nel 1988 il mercato automobilistico europeo ha assorbito quasi 9 milioni di carburatori.
Questo grazie al fatto che la maggior parte delle vetture nuove con motore a benzina erano
alimentate a carburatore e solamente le vetture di gamma alta utilizzavano sistemi di iniezione
elettronica.
Negli Usa i sistemi di iniezione erano stati imposti, con una normativa del 1983, poiché
in grado di limitare drasticamente le emissioni di sostanze nocive fuoriuscenti dal tubo di
scarico della vettura. In Europa, invece, la normativa sulle emissioni era più tollerante ed il
limite imposto poteva esser rispettato anche da un sistema di alimentazione a carburatore.
Quindi mentre negli Usa il sistema ad iniezione era un must, in Europa era un plus destinato
alle vetture di fascia alta. In questo contesto l’italiana Weber controllava il 65% del mercato
europeo dei carburatori, mentre la tedesca Bosch deteneva il quasi monopolio dei sistemi
ad iniezione.
Nel 1988 quando i segnali di un inasprimento della normativa Cee sulle emissioni si rafforzarono,
alla Weber ci fu molta preoccupazione. L’azienda aveva il know-how dell’iniezione
elettronica in quanto da anni forniva sistemi di questo tipo, inclusi quelli delle Ferrari stradali
e da competizione. Nonostante questo, la Direzione della Weber ben sapeva che il repentino
passaggio da produzione di carburatori a progettazione e produzione in grande serie
di sistemi di iniezione elettronica avrebbe determinato una riconversione industriale imponente,
nonché l’abbandono di un prodotto, come il carburatore, che era un cash-cow.»
(Bertone, 1993, pp. 128-129)
7. Servizi e prodotti complementari
L’esistenza di alcuni business si basa sulla disponibilità di prodotti e servizi complementari.
Ad esempio, se venisse proibito il tabacco, non si venderebbero più accendini e la Bic, leader
degli accendini usa e getta, potrebbe trovarsi in grosse difficoltà.
8. Stabilità dei costi rispetto a prodotti o servizi alternativi
Per illustrare questo punto l’autore riporta il caso di una società nordamericana che gestisce
un servizio di autobus con cui collega quasi tutte le città degli USA e che è stata messa
in crisi dalla riduzione dei costi delle tariffe aeree dovuta alla guerra dei prezzi tra le varie
compagnie.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Indefi nita, fi no alla scoperta delle vulnerabilità e pilastri dell’azienda
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Si necessita di un’elevata quantità di informazioni sulla propria azienda e sui mercati circostanti
al proprio, internet e riviste di marketing aiutano sicuramente riguardo alla ricerca esterna delle
informazioni ed inchieste a livello aziendale per informazioni interne.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Questa tecnica specifi ca è molto complessa ed articolata data la grande mole di informazioni
da reperire e controllare, ma fornisce una soluzione pratica ad uno specifi co problema da
affrontare. Il lavoro in equipe e altamente consigliato per un raggiungimento degli obiettivi in
modo effi ciente .
La tecnica dell’analisi di vulnerabilità viene descritta da Bertone V. in “Creatività aziendale. Metodi, tecniche; casi per valorizzare il potenziale creativo di manager, imprenditori” nel 1993.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La tecnica deve essere applicata in gruppo. Questo deve essere eterogeneo, libero da inibizioni
ed includere alcuni esperti del tema che si esplora.
La tecnica non richiede specifici requisiti e, in particolare, il gruppo di lavoro non necessità di
formazione.
Non viene indicata una metodologia per l’individuazione dei pilastri dell’azienda, se non attraverso una serie di esempi.
L’autore dell’analisi della vulnerabilità ritiene che ogni business è sostenuto da “pilastri”, l’obiettivo di questa tecnica è individuare i pilastri su cui l’azienda si fonda ed analizzare le possibili azioni da intraprendere in risposta agli eventi che possono danneggiare tali pilastri.
Questa tecnica si applica alle Aree Strategiche d’Affari (ASA), definite come combinazione prodotto - mercato - tecnologia dell’azienda.
Ciascuna ASA può essere distrutta, minacciata o danneggiata da eventi esterni sui quali l’impresa
ha scarso o nessun controllo.
Questa tecnica permette di analizzare tali pilastri e ricavare informazioni utili per le scelte strategiche aziendali (ad es. l’introduzione delle telecamere elettroniche hanno portato alla distruzione del business delle cineprese “super 8” e relativi proiettori).
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
L’oggetto dell’analisi di vulnerabilità è suddiviso in due gruppi:
- attori esterni all’impresa, che non sono controllabili dall’azienda stessa (ad es. risorse,
alcuni input);
- fattori esterni al sistema competitivo ristretto, ovvero gli elementi per i quali l’impresa non
è in grado di difendersi a meno che non ricorra ad innovazioni radicali.
Le fasi che compongono tale tecnica sono:
- Identificazione dei pilastri del business; ossia degli elementi dai quali dipende la sopravvivenza
e la continuità di un settore e delle imprese che vi operano.
- Generazione di idee a ruota libera sugli eventi che possono danneggiare o distruggere uno
o più pilastri del business (vedi Brainstorming, tecniche di processo creativo).
- Valutazione della probabilità di accadimento dell’evento e del suo impatto (vedi tecniche
di valutazione).
L’attenzione da dedicarsi ad una data minaccia dovrebbe essere proporzionale non solo
alla probabilità dell’evento, ma al prodotto della probabilità per l’impatto. È da evitarsi l’atteggiamento delle direzioni aziendali che, considerando un evento poco probabile, non si
occupano di valutarne l’impatto.
- Identificazione delle azioni da intraprendersi.
Le azioni devono distinguersi in azioni da intraprendersi subito o al verificarsi dell’evento
pericoloso. Infatti l’azienda può reagire subito o predisporre delle azioni, ma rinviarne l’attuazione nel tempo, in attesa di un rafforzamento della probabilità di accadimento degli
eventi pericolosi.
Pur essendo la tecnica suddivisa in 4 fasi, si può notare come la prima sia prevalente rispetto
le altre. La parte discriminante di questa tecnica consiste proprio nell’analisi dei pilastri.
Le altre fasi potranno essere sviluppate anche con l’ausilio delle altre tecniche. L’analisi della
vulnerabilità è stata posizionata nella Mappatura Esterna proprio per il peso attribuito alla
prima fase. L’autore individua 8 tipi di pilastri, e sostiene che quando uno vacilla è necessario
innovare. L’identificazione dei pilastri non è cosa ovvia se si considera che questi non
coincidono con i fattori critici di successo del business.
La classificazione dei pilastri è la seguente:
1. Bisogni o funzioni d’uso
Ogni business soddisfa bisogni che sono soggetti ad evolvere nel tempo e in molti casi il
bisogno soddisfatto è scomparso senza che le imprese avessero la capacità e le risorse
per innovare e sopravvivere. È il caso del regolo calcolatore, che serviva per fare i conti
velocemente. La diffusione delle calcolatrici tascabili ha consentito di assolvere alla stessa
funzione più efficacemente. Le aziende produttrici di regoli, non disponendo della capacità
di entrare in concorrenza con i produttori di calcolatori tascabili, non hanno potuto far altro
che accettare il declino del loro business.
2. Usi, consuetudini, valori
Bertone sostiene che l’esistenza di valori sociali è il pilastro di molti business e quindi che la
relativa analisi dei cambiamenti è molto utile all’attività di innovazione di prodotti e servizi.
Esempio:
«Se il valore prevalente è il consumo, l’individuo si domanda: “Cosa vorrei avere tra le cose
che non posseggo?”. Se, invece, da un atteggiamento consumista, si passa a dare maggiore
peso alle esperienze, ci si chiede: “Quale, tra le esperienze che non ho fatto, vorrei
fare?”. Il manager consumista sarà felice di avere in regalo una stilografica in oro firmata da
Giugiaro. Il manager esperienzialista desidererà un buono per un viaggio, un corso di formazione,
l’abbonamento ad una serie di spettacoli teatrali.» (Bertone, 1993, p.124)
3. Stabilità delle tecnologie
Molti business dipendono da una tecnologia incorporata nel prodotto o nel processo produttivo.
Un esempio ormai noto è il mercato degli orologi con tecnologia meccanica. L’avvento
dell’elettronica ha portato l’industria svizzera a subire una forte contrazione del proprio mercato.
In questo caso le aziende di orologi svizzere si sono trovate “senza pilastro” e conseguentemente
l’introduzione nel settore di prodotti basati sull’elettronica.
Dopo un decennio di crisi, un consorzio di produttori svizzeri (la SMH) ha saputo offrire una
risposta innovativa al mondo degli orologi elettronici: lo Swatch, che ha risollevato l’industria
dell’orologeria elvetica proprio nel momento in cui sembrava messa in ginocchio dai produttori
giapponesi e di Hong Kong.
Esempio:
«Ernst Thomke uno degli inventori dello Swatch, ha dichiarato di aver puntato sulla necessità
di battere la concorrenza sul prezzo. Il prezzo competitivo dipende dalla concezione del
prodotto-processo. Grazie all’aiuto dei progettisti, Elmar Mock e Jacques Mueller, nasce un
meccanismo rivoluzionario, composto solamente da 51 elementi, circa la metà di quelli di
cui è dotato un tradizionale orologio elettronico con movimento al quarzo. La cassa, stampata
a microiniezione con un materiale sintetico resistentissimo, funge anche da piastra di
montaggio su cui vengono fissati i componenti mediante saldatura ed ultrasuoni. Il vetro -
ovviamente in plastica - non può mai essere sostituito, peraltro il sistema di saldatura rende
l’orologio impermeabile fino a 30 metri di profondità.» (Bertone, 1993, p.124)
Il basso costo di fabbricazione del prodotto ha portato la Swatch al successo. La strategia
di marketing ha fornito un contributo determinante al consolidamento dell’idea di business
dello Swatch che, vendendo circa 10 milioni di orologi all’anno, controlla oltre il 30% del suo
segmento di mercato.
4. Input e risorse
Ogni business richiede delle risorse, anche quelle date per scontate, come la disponibilità di
materie prime, l’energia, i servizi accessori (posta, telefono, sicurezza, ...), e una di queste
risorse può costituire un pilastro del business. Tuttavia , generalmente, l’attenzione della direzione aziendale è centrata sulle risorse che più incidono sulla struttura dei costi, piuttosto
che su risorse critiche per l’esistenza del business. Queste ultime infatti non sono ritenute
importanti finchè non sorge un problema.
5. Nicchia o segmento di mercato
Bertone sostiene che quando i clienti sono pochi il business è molto vulnerabile e cita
l’esempio della Piaggio che un tempo vendeva l’80% dei suoi ciclomotori a ragazzi con
meno di 18 anni. Dunque l’azienda era dipendente da un solo segmento di mercato. I pilastri
su cui si basava il business dei ciclomotori erano la possibilità di guidare senza casco,
senza targa, e senza patente. In particolare l’azienda riteneva che le ragazzine non avrebbero
gradito l’uso del casco che nel 1986 divenne obbligatorio. Contemporaneamente, però,
molti automobilisti cominciarono a spostarsi in ciclomotore per evitare il traffico cittadino,
creando così nuove opportunità di sviluppo per la Piaggio.
6. Vincoli esistenti, sanzioni, incentivi
I vincoli, le sanzioni e gli incentivi imposti dalle leggi delimitano lo spazio operativo nel quale
le aziende possono muoversi. Può accadere che una azienda che si trovi ad avere un vantaggio
competitivo venga annullato dalle modifiche di alcune normative. Vengono di seguito
proposti due esempi per meglio comprendere la problematica:
Esempio 1:
«I prodotti farmaceutici non possono essere posti in vendita senza autorizzazione ufficiale
degli enti preposti alla sorveglianza della sanità. L’autorizzazione è subordinata a periodi di
sperimentazione di oltre dieci anni. Tale regolamentazione si applica però alle sole specialità
farmaceutiche, e non si estende ai prodotti cosiddetti cosmetici. È da ritenersi che una più
severa regolamentazione dei prodotti offerti dalle aziende di cosmesi, che richiedesse una
maggiore evidenza sull’efficacia del prodotto o una più rigorosa sperimentazione tesa a verificare
l’assenza di pericolosi “effetti collaterali”, potrebbe seriamente minacciare la struttura
del business.
Aziende leader, come l’Oreal e Shiseido, probabilmente potrebbero adattarsi al nuovo contesto
modificando radicalmente l’approccio e la struttura attuale caratterizzata da spese di
marketing che raggiungono anche il 40% del fatturato.
Le aziende minori, caratterizzate da un approccio al business per certi aspetti “piratesco”, si
troverebbero nell’impossibilità di sperimentare e garantire la qualità dei loro prodotti, quindi
sarebbero destinate a scomparire.»
Esempio 2:
«Nel 1988 il mercato automobilistico europeo ha assorbito quasi 9 milioni di carburatori.
Questo grazie al fatto che la maggior parte delle vetture nuove con motore a benzina erano
alimentate a carburatore e solamente le vetture di gamma alta utilizzavano sistemi di iniezione
elettronica.
Negli Usa i sistemi di iniezione erano stati imposti, con una normativa del 1983, poiché
in grado di limitare drasticamente le emissioni di sostanze nocive fuoriuscenti dal tubo di
scarico della vettura. In Europa, invece, la normativa sulle emissioni era più tollerante ed il
limite imposto poteva esser rispettato anche da un sistema di alimentazione a carburatore.
Quindi mentre negli Usa il sistema ad iniezione era un must, in Europa era un plus destinato
alle vetture di fascia alta. In questo contesto l’italiana Weber controllava il 65% del mercato
europeo dei carburatori, mentre la tedesca Bosch deteneva il quasi monopolio dei sistemi
ad iniezione.
Nel 1988 quando i segnali di un inasprimento della normativa Cee sulle emissioni si rafforzarono,
alla Weber ci fu molta preoccupazione. L’azienda aveva il know-how dell’iniezione
elettronica in quanto da anni forniva sistemi di questo tipo, inclusi quelli delle Ferrari stradali
e da competizione. Nonostante questo, la Direzione della Weber ben sapeva che il repentino
passaggio da produzione di carburatori a progettazione e produzione in grande serie
di sistemi di iniezione elettronica avrebbe determinato una riconversione industriale imponente,
nonché l’abbandono di un prodotto, come il carburatore, che era un cash-cow.»
(Bertone, 1993, pp. 128-129)
7. Servizi e prodotti complementari
L’esistenza di alcuni business si basa sulla disponibilità di prodotti e servizi complementari.
Ad esempio, se venisse proibito il tabacco, non si venderebbero più accendini e la Bic, leader
degli accendini usa e getta, potrebbe trovarsi in grosse difficoltà.
8. Stabilità dei costi rispetto a prodotti o servizi alternativi
Per illustrare questo punto l’autore riporta il caso di una società nordamericana che gestisce
un servizio di autobus con cui collega quasi tutte le città degli USA e che è stata messa
in crisi dalla riduzione dei costi delle tariffe aeree dovuta alla guerra dei prezzi tra le varie
compagnie.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Indefi nita, fi no alla scoperta delle vulnerabilità e pilastri dell’azienda
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Si necessita di un’elevata quantità di informazioni sulla propria azienda e sui mercati circostanti
al proprio, internet e riviste di marketing aiutano sicuramente riguardo alla ricerca esterna delle
informazioni ed inchieste a livello aziendale per informazioni interne.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Questa tecnica specifi ca è molto complessa ed articolata data la grande mole di informazioni
da reperire e controllare, ma fornisce una soluzione pratica ad uno specifi co problema da
affrontare. Il lavoro in equipe e altamente consigliato per un raggiungimento degli obiettivi in
modo effi ciente .
giovedì 12 febbraio 2009
DO IT
DESCRIZIONE SOMMARIA
La tecnica del DO IT è descritta nel libro “L’arte del pensiero creativo” di Robert W. Olson.
Tale tecnica è stata ideata nel 1980.
Il nome è l’acronimo delle seguenti parole: Defi nire, Aprire, Identifi care, Trasformare (in inglese Define, Open, Identify, Transform).
Il modello del processo DO IT sottolinea la necessità di defi nire i problemi, aprirli a molteplici e
possibili soluzioni, individuare la soluzione migliore e poi trasformarla in azione in modo efficace.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La seguente tecnica non è applicabile ad un determinato campo di applicazione ma bensì trova
uso in diversi campi, che possono spaziare dalla gestione aziendale alla creatività grafica.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
La tecnica del DO IT si suddivide in 4 fasi:
1. Definire il problema
Questa fase si sviluppa sull’analizzare il problema per accertarsi che ci stia ponendo la domanda
corretta. I seguenti punti ci aiuteranno a fare questo:
- Controllare che si stia affrontando il problema, non i sintomi del problema. Per fare questo
bisogna ripetutamente chiedersi perché il problema esiste fi no a che non si ottiene la
radice di essa.
- Delineare i limiti del problema.
Elaborare gli obiettivi che si devono ottenere tenendo contodei vincoli ai quali si è sottoposti.
- Dove un problema risulta essere molto grande, bisogna dividerlo in parti più piccole. Si
deve seguire questa procedura fi no a che ogni parte del problema non si possa affrontare
da sola, o dove si necessiti di una ricerca precisa per ottenere la defi nizione della parte
presa in causa del problema. Ciò può condurre ad una riaffermazione più stretta del problema.
- Riassumere il problema nel modo più conciso possibile: un metodo può essere quello di
sintetizzare il problema in due parole chiave e successivamente scegliere la migliore.
2. Aprire
Una volta che si conosce il problema che si vuole risolvere, si è pronti a cominciare generare
soluzioni possibili. In questo passaggio si è tentati di accettare la prima soluzione che si trovi.
Così facendo si andrebbe a perdere soluzioni che potrebbero essere migliori di quella scelta.
In questa fase del Do It non si è interessati alle idee di valutazione ma si sta provando a
generare altrettante idee differenti come possibili idee di scelta. Anche le idee difettose
sono essere un inizio per generarne di buone.
Mentre si stanno generando soluzioni, è bene ricordare che le altre persone hanno diverse
prospettive sul problema. Si può chiedere ai propri colleghi le loro idee rispetto al problema
da risolvere.
3. Identifi care
In questa fase si identifi ca l’idea migliore tra quelle generate. È possibile essere che l’idea
migliore sia già in evidenza. In alternativa , può essere utile l’esame e lo sviluppo di una serie
di idee in modo approfondito prima di selezionarne una. Quando si sta selezionando la
soluzione migliore bisogna tener conto degli obbiettivi che ci si è imposti.
4. Trasformare
Dopo aver identifi cato il problema e aver creato una soluzione ad esso, la fase fi nale è quella
di realizzare questa soluzione.
Questa operazione potrebbe richiedere molto tempo ed energia.
Alcune persone arrivate a questa fase vengono meno alla soluzione del problema. Troveranno
divertente continuare a rimuginare ed elaborare l’idea, ma senza svilupparla e portarla a
termine completamente.
È quindi utile coinvolgere alcuni soggeti abili a pianifi care ed altri portati per l’esecuzione
tecnica, per evitare dispersioni inutili di tempo, energia e denaro.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non è stato determinato un tempo di esecuzione preciso.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Non sono stati individuati eventuali strumenti di supporto, se non semplici materiali di cancelleria.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Come già detto, si possono incontrare alcune difficoltà che potrebbero deviarci dal corretto
svolgimento della nostra analisi. In primo luogo, potremmo frettolosamente affidarci alla prima
soluzione del problema che ci salta in mente, senza preoccuparci di formularne altre o di interpellare i nostri colleghi. Questo abbrevierà sicuramente i tempi di esecuzione, ma rischia di farci perdere soluzioni, magari più complicate, ma potenzialmente più efficaci. In secondo luogo,
durante l’ultima fase di analisi, ci si potrebbe perdere ad elaborare esageratamente la soluzione
scelta, senza però portarla a termine fino in fondo. Questo potrebbe provocare una incompleta
e sommaria risoluzione del problema. Per il resto i vari passaggi di questa tecnica sono semplici
e facilmente applicabili.
La tecnica del DO IT è descritta nel libro “L’arte del pensiero creativo” di Robert W. Olson.
Tale tecnica è stata ideata nel 1980.
Il nome è l’acronimo delle seguenti parole: Defi nire, Aprire, Identifi care, Trasformare (in inglese Define, Open, Identify, Transform).
Il modello del processo DO IT sottolinea la necessità di defi nire i problemi, aprirli a molteplici e
possibili soluzioni, individuare la soluzione migliore e poi trasformarla in azione in modo efficace.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La seguente tecnica non è applicabile ad un determinato campo di applicazione ma bensì trova
uso in diversi campi, che possono spaziare dalla gestione aziendale alla creatività grafica.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
La tecnica del DO IT si suddivide in 4 fasi:
1. Definire il problema
Questa fase si sviluppa sull’analizzare il problema per accertarsi che ci stia ponendo la domanda
corretta. I seguenti punti ci aiuteranno a fare questo:
- Controllare che si stia affrontando il problema, non i sintomi del problema. Per fare questo
bisogna ripetutamente chiedersi perché il problema esiste fi no a che non si ottiene la
radice di essa.
- Delineare i limiti del problema.
Elaborare gli obiettivi che si devono ottenere tenendo contodei vincoli ai quali si è sottoposti.
- Dove un problema risulta essere molto grande, bisogna dividerlo in parti più piccole. Si
deve seguire questa procedura fi no a che ogni parte del problema non si possa affrontare
da sola, o dove si necessiti di una ricerca precisa per ottenere la defi nizione della parte
presa in causa del problema. Ciò può condurre ad una riaffermazione più stretta del problema.
- Riassumere il problema nel modo più conciso possibile: un metodo può essere quello di
sintetizzare il problema in due parole chiave e successivamente scegliere la migliore.
2. Aprire
Una volta che si conosce il problema che si vuole risolvere, si è pronti a cominciare generare
soluzioni possibili. In questo passaggio si è tentati di accettare la prima soluzione che si trovi.
Così facendo si andrebbe a perdere soluzioni che potrebbero essere migliori di quella scelta.
In questa fase del Do It non si è interessati alle idee di valutazione ma si sta provando a
generare altrettante idee differenti come possibili idee di scelta. Anche le idee difettose
sono essere un inizio per generarne di buone.
Mentre si stanno generando soluzioni, è bene ricordare che le altre persone hanno diverse
prospettive sul problema. Si può chiedere ai propri colleghi le loro idee rispetto al problema
da risolvere.
3. Identifi care
In questa fase si identifi ca l’idea migliore tra quelle generate. È possibile essere che l’idea
migliore sia già in evidenza. In alternativa , può essere utile l’esame e lo sviluppo di una serie
di idee in modo approfondito prima di selezionarne una. Quando si sta selezionando la
soluzione migliore bisogna tener conto degli obbiettivi che ci si è imposti.
4. Trasformare
Dopo aver identifi cato il problema e aver creato una soluzione ad esso, la fase fi nale è quella
di realizzare questa soluzione.
Questa operazione potrebbe richiedere molto tempo ed energia.
Alcune persone arrivate a questa fase vengono meno alla soluzione del problema. Troveranno
divertente continuare a rimuginare ed elaborare l’idea, ma senza svilupparla e portarla a
termine completamente.
È quindi utile coinvolgere alcuni soggeti abili a pianifi care ed altri portati per l’esecuzione
tecnica, per evitare dispersioni inutili di tempo, energia e denaro.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non è stato determinato un tempo di esecuzione preciso.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
Non sono stati individuati eventuali strumenti di supporto, se non semplici materiali di cancelleria.
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Come già detto, si possono incontrare alcune difficoltà che potrebbero deviarci dal corretto
svolgimento della nostra analisi. In primo luogo, potremmo frettolosamente affidarci alla prima
soluzione del problema che ci salta in mente, senza preoccuparci di formularne altre o di interpellare i nostri colleghi. Questo abbrevierà sicuramente i tempi di esecuzione, ma rischia di farci perdere soluzioni, magari più complicate, ma potenzialmente più efficaci. In secondo luogo,
durante l’ultima fase di analisi, ci si potrebbe perdere ad elaborare esageratamente la soluzione
scelta, senza però portarla a termine fino in fondo. Questo potrebbe provocare una incompleta
e sommaria risoluzione del problema. Per il resto i vari passaggi di questa tecnica sono semplici
e facilmente applicabili.
Principio della Discontinuità
DESCRIZIONE SOMMARIA
L’autore di questa tecnica è Roger van Oech
La tecnica in questione prevede la fusione di idee prese da più punti di vista e fusi assieme con
lo scopo di trovare un soluzione al problema a 360°.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
Creazione di nuove idee, inventive, modi di pensare.
L’obiettivo del pensiero divergente è quello di modificare la definizione di un problema o il
contesto dove dovrebbe essere risolta. Ciò significa avere una varietà di prospettive, facendo
associazioni inusuali, realizzando quella che Koestler definisce “fertilizzazione incrociata”, che
significa, per esempio, mettere in contatto persone con diverse esperienze appartenenti a differenti culture.
Questa tecnica può essere usata specialmente negli ambienti che necessitano di creatività
continuamente rinnovata, ambienti di lavoro dinamici, assolutamente non tecnici dato che la teoria stessa non segue l’obiettivo dell’efficienza operativa ma quello dell’innovazione delle idee.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Il pensiero divergente è composto da tre diverse fasi, che sono:
- La ricerca del problema (perché il processo creativo inizia dalla percezione di un problema
o di un compito da realizzare).
- L’incubazione durante la quale le persone devono sospendere i loro giudizi in modo da
accrescere la possibilità di pervenire a una visione originale del problema; quindi possiamo
dire che l’incubazione è esattamente l’opposto del normale processo di business che si
svolge in una organizzazione operativa.
- Infine si ha la collisione, che significa creare una nuova idea collegando diverse informazioni
e prospettive.
Queste tre fasi definiscono il processo di pensiero divergente, che è la fonte del processo
creativo; ma il problema è che queste competenze non vengono mai sviluppate dalle organizzazioni, che sono invece generalmente focalizzate sul pensiero convergente.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non è prevista una durata specifi ca, il procedimento va quindi applicato fi no a quando non si
raggiunge l’obiettivo, stando attenti che la tecnica stessa non diventi fonte di stress o disturbi
a causa dei continui cambiamenti diretti nel proprio stile di vita, in questo caso cessare di utilizzare la tecnica che diventa fonte di problema anzichè di soluzioni.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
N/D
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Quanto più si è abituati a qualcosa, meno stimolante è per il nostro modo di pensare.
Quando si rompono nel pensiero i modelli che abbiamo si crea un maggior stimolo per il nostro
modo di pensare perché farlo ci obbliga a fare nuove connessioni al fine di comprendere la
situazione.
Provate a programmare delle interruzioni nella vostra giornata. Cambia l’orario di lavoro, raggiungete il posto di lavoro in modo diverso , ascoltate una diversa stazione radio, provate a
leggere alcune riviste o libri che normalmente non leggereste , bisogna cercare una ricetta diversa, guardare un programma televisivo o un film che si sarebbe normalmente non guardato.
L’autore di questa tecnica è Roger van Oech
La tecnica in questione prevede la fusione di idee prese da più punti di vista e fusi assieme con
lo scopo di trovare un soluzione al problema a 360°.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
Creazione di nuove idee, inventive, modi di pensare.
L’obiettivo del pensiero divergente è quello di modificare la definizione di un problema o il
contesto dove dovrebbe essere risolta. Ciò significa avere una varietà di prospettive, facendo
associazioni inusuali, realizzando quella che Koestler definisce “fertilizzazione incrociata”, che
significa, per esempio, mettere in contatto persone con diverse esperienze appartenenti a differenti culture.
Questa tecnica può essere usata specialmente negli ambienti che necessitano di creatività
continuamente rinnovata, ambienti di lavoro dinamici, assolutamente non tecnici dato che la teoria stessa non segue l’obiettivo dell’efficienza operativa ma quello dell’innovazione delle idee.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Il pensiero divergente è composto da tre diverse fasi, che sono:
- La ricerca del problema (perché il processo creativo inizia dalla percezione di un problema
o di un compito da realizzare).
- L’incubazione durante la quale le persone devono sospendere i loro giudizi in modo da
accrescere la possibilità di pervenire a una visione originale del problema; quindi possiamo
dire che l’incubazione è esattamente l’opposto del normale processo di business che si
svolge in una organizzazione operativa.
- Infine si ha la collisione, che significa creare una nuova idea collegando diverse informazioni
e prospettive.
Queste tre fasi definiscono il processo di pensiero divergente, che è la fonte del processo
creativo; ma il problema è che queste competenze non vengono mai sviluppate dalle organizzazioni, che sono invece generalmente focalizzate sul pensiero convergente.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non è prevista una durata specifi ca, il procedimento va quindi applicato fi no a quando non si
raggiunge l’obiettivo, stando attenti che la tecnica stessa non diventi fonte di stress o disturbi
a causa dei continui cambiamenti diretti nel proprio stile di vita, in questo caso cessare di utilizzare la tecnica che diventa fonte di problema anzichè di soluzioni.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
N/D
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Quanto più si è abituati a qualcosa, meno stimolante è per il nostro modo di pensare.
Quando si rompono nel pensiero i modelli che abbiamo si crea un maggior stimolo per il nostro
modo di pensare perché farlo ci obbliga a fare nuove connessioni al fine di comprendere la
situazione.
Provate a programmare delle interruzioni nella vostra giornata. Cambia l’orario di lavoro, raggiungete il posto di lavoro in modo diverso , ascoltate una diversa stazione radio, provate a
leggere alcune riviste o libri che normalmente non leggereste , bisogna cercare una ricetta diversa, guardare un programma televisivo o un film che si sarebbe normalmente non guardato.
mercoledì 11 febbraio 2009
Problem Reversal
DESCRIZIONE SOMMARIA
La tecnica del problem reversal è stata elaborata da Lao-Tzu. Lao-Tzu ritiene che il mondo è
fatto di opposti e che ogni concetto (o idea) è vuota senza il suo opposto.
Nel suo libro “Tao-te Ching”, Lao-tzu sottolinea la necessità per il buon leader di visualizzare
tutte le opposizioni attorno a lui.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La tecnica Reversal (rovescio) serve in prima analisi ad ingigantire il problema, pensando a
modalità alternative per aumentare il problema. Dopo aver pensato e scritto su un foglio i modi
per provocare una vera e propria catastrofe, si rovesciano le alternative pensate per riflettere
facendo una profonda autoanalisi.
Ad esempio se un ragazzo è distratto in classe, per aumentare questo problema possiamo
spiegare la lezione in modo incomprensibile, rendere la lezione noiosa, rimproverarlo continuamente,ecc.
Il rovescio avviene riflettendo se in questi ultimi tempi stiamo spiegando la lezione in modo incomprensibile,se rendiamo la lezione noiosa, se rimproveriamo spesso, ecc.
E’ un modo per capire attentamente i nostri comportamenti, per lavorare su aspetti che sfuggono
la nostra coscienza.
Il problem reversal è utilizzabile in una vasta gamma di situazioni che da come si deduce
dall’esempio qui sopra può andare dall’insegnamento scolastico al management d’azienda, a
problemi creativi, ecc. Non esiste quindi un vero e proprio campo d’azione per questa tecnica.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Il metodo può essere suddiviso nei seguenti passi:
- Guardare il problema”al contrario” e modificare una dichiarazione positiva in negativa e
viceversa;
- Scoprire cosa non si sta facendo e quindi cosa si potrebbe fare (per esempio, Apple Computer
ha fatto ciò che IBM non ha fatto);
- Sviluppare un elenco di azioni che devono essere applicati al problema attraverso l’uso di
alcune domande come “Che cosa succede se ...?”.
- Cambiare la prospettiva fisica (camminare o fare qualcosa di diverso);
- Provare a generare il maggior numero possibile di idee invertendo il problema. Ad esempio,
se si desidera aumentare le vendite, pensare a farle decrescere.
- Se si trasforma in qualcosa di male, pensare gli aspetti positivi della situazione, e viceversa.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non è prevista una durata specifi ca, il procedimento va quindi applicato fi no a quando non si
raggiunge l’obiettivo.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
N/D
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Il problem reversal quindi conduce alla soluzione di un problema, andando a scavare ed approfondire il problema stesso. La diffi coltà principale sta nel fatto che ingigantendo in modo
indefi nito il proprio problema non ci si scoraggi convincendosi dell’impossibilità di risolverlo.
Non bisogna quindi perdere mai di vista la gravità e le cartatteristiche del VERO problema da
affrontare.
La tecnica del problem reversal è stata elaborata da Lao-Tzu. Lao-Tzu ritiene che il mondo è
fatto di opposti e che ogni concetto (o idea) è vuota senza il suo opposto.
Nel suo libro “Tao-te Ching”, Lao-tzu sottolinea la necessità per il buon leader di visualizzare
tutte le opposizioni attorno a lui.
FINALITA': contesto e attività per la quale appare particolarmente indicata
La tecnica Reversal (rovescio) serve in prima analisi ad ingigantire il problema, pensando a
modalità alternative per aumentare il problema. Dopo aver pensato e scritto su un foglio i modi
per provocare una vera e propria catastrofe, si rovesciano le alternative pensate per riflettere
facendo una profonda autoanalisi.
Ad esempio se un ragazzo è distratto in classe, per aumentare questo problema possiamo
spiegare la lezione in modo incomprensibile, rendere la lezione noiosa, rimproverarlo continuamente,ecc.
Il rovescio avviene riflettendo se in questi ultimi tempi stiamo spiegando la lezione in modo incomprensibile,se rendiamo la lezione noiosa, se rimproveriamo spesso, ecc.
E’ un modo per capire attentamente i nostri comportamenti, per lavorare su aspetti che sfuggono
la nostra coscienza.
Il problem reversal è utilizzabile in una vasta gamma di situazioni che da come si deduce
dall’esempio qui sopra può andare dall’insegnamento scolastico al management d’azienda, a
problemi creativi, ecc. Non esiste quindi un vero e proprio campo d’azione per questa tecnica.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
Il metodo può essere suddiviso nei seguenti passi:
- Guardare il problema”al contrario” e modificare una dichiarazione positiva in negativa e
viceversa;
- Scoprire cosa non si sta facendo e quindi cosa si potrebbe fare (per esempio, Apple Computer
ha fatto ciò che IBM non ha fatto);
- Sviluppare un elenco di azioni che devono essere applicati al problema attraverso l’uso di
alcune domande come “Che cosa succede se ...?”.
- Cambiare la prospettiva fisica (camminare o fare qualcosa di diverso);
- Provare a generare il maggior numero possibile di idee invertendo il problema. Ad esempio,
se si desidera aumentare le vendite, pensare a farle decrescere.
- Se si trasforma in qualcosa di male, pensare gli aspetti positivi della situazione, e viceversa.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Non è prevista una durata specifi ca, il procedimento va quindi applicato fi no a quando non si
raggiunge l’obiettivo.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
N/D
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Il problem reversal quindi conduce alla soluzione di un problema, andando a scavare ed approfondire il problema stesso. La diffi coltà principale sta nel fatto che ingigantendo in modo
indefi nito il proprio problema non ci si scoraggi convincendosi dell’impossibilità di risolverlo.
Non bisogna quindi perdere mai di vista la gravità e le cartatteristiche del VERO problema da
affrontare.
Pensiero Fuzzy
DESCRIZIONE SOMMARIA
Fuzzy è il termine a effetto che il logico Lofti Zadeh scelse negli anni Sessanta, in virtù del suo sapore anticonformistico e antiaccademico, per ribattezzare e rilanciare un settore della logica matematica che aveva dietro di sè un storia peraltro rispettabilissima e tutt'altro che antiaccademica che risaliva a Bertrand Russel e a Jan Lukasiewicz.
FINALITA' : contesto per la quale appare particolarmente indicata
Nel 1964 Zadeh osservò che gli elementi chiave del pensiero umano non sono numeri ma etichette
d’insiemi fuzzy: il nostro cervello è pieno d’insiemi fuzzy, anzi il pensiero non è altro che
un gioco con gli stessi. Infatti una delle più sorprendenti capacità del cervello umano, tuttora non
riproducibile dalle intelligenze artificiali, è quella di assumere informazioni approssimandole.
Agli inizi degli anni ’90 si produce un fatto nuovo ed egualmente importante: oltre al successo
dei suoi prodotti fuzzy, il Giappone deve prendere atto del fallimento dell’A.I. e dei computer di
V generazione, interamente basati sulla logica bivalente.
L’intelligenza artificiale (A. I.) fu fondata nel 1956, nel corso di una celebre conferenza al Dartmouth College (U.S.A), alla quale, tra gli altri partecipò H. Simon, a cui fu successivamente
attribuito il premio Nobel per l’economia sui suoi studi riguardanti i processi decisionali del
management, oggetto di studio anche dell’A.I., poiché tali processi si svolgono in un quadro di
razionalità limitata, avendo a disposizione tempi ristretti e conoscenze parziali.
Dopo aver assistito agli insuccessi dei progetti di A.I. si è potuto verificare che con la logica
fuzzy si potevano costruire macchine sempre più intelligenti semplicemente “calcolando con le
parole”, frase con cui lo stesso Zadeh ha qualificato la logica fuzzy.
Il “calcolo con le parole”, quindi, è attuato da ognuno di noi quotidianamente: nelle singole
azioni che ogni individuo compie, opera come un sistema di controllo (fuzzy) risolvendo delle
inferenze qualitative senza ricorrere a modelli matematici. La logica fuzzy si propone appunto
di risolvere problemi con regole empiriche e qualitative.
Zadeh ritiene la complessità e la precisione inversamente proporzionali: se cresce la complessità
del problema diminuisce la possibilità di analizzarlo in termini precisi. In questi termini il
pensiero fuzzy può essere legittimo se rende possibile la soluzione di problemi troppo complessi
per essere analizzati. meticolosamente.
Infatti i giapponesi, in virtù di tali considerazioni, riescono a costruire treni confortevoli che reagiscono in modo ottimale alle sollecitazioni esterne e le correggono nel miglior modo possibile.
Un’applicazione molto nota è stata realizzata dall’HITACHI, per il controllo della frenatura dei
treni della metropolitana di Sendai.
Con solo 54 regole fuzzy il sistema riesce a far accelerare e decelerare i treni più dolcemente,
senza mai sbagliare la posizione d’arresto. Il sistema non ha mai dato alcun problema d’affidabilità e consente, inoltre, una riduzione del 15% del consumo d’energia. Il sistema è entrato in funzione nel luglio del 1987, ma era stato sottoposto a altre 320000 simulazioni e prove reali non riscontrando nessuna anomalia nel funzionamento.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
La teoria degli insiemi fuzzy costituisce un’estensione della teoria classica degli insiemi poiché
per essa non valgono i principi aristotelici di non-contraddizione e del terzo escluso (detto
anche “tertium non datur”). Si ricorda che, dati due insiemi A e !A (non-A), il principio di non contraddizione stabilisce che ogni elemento appartenente all’insieme A non può contemporaneamente appartenere anche a non-A; secondo il principio del terzo escluso, d’altro canto, l’unione di un insieme A e del suo complemento non-A costituisce l’universo del discorso.
In altri termini, se un qualunque elemento non appartiene all’insieme A, esso necessariamente
deve appartenere al suo complemento non-A.
Tali principi logici conferiscono un carattere di rigida bivalenza all’intera costruzione aristotelica,
carattere che ritroviamo, sostanzialmente immutato ed indiscusso, sino alla prima metà del XX
secolo, quando l’opera di alcuni precursori di Zadeh (in primis Max Black e Jan Łukasiewicz)
permette di dissolvere la lunga serie di paradossi cui la bivalenza della logica classica aveva
dato luogo e che essa non era in grado di chiarire.
Il più antico e forse celebre di tali paradossi è quello attribuito ad Eubulide di Mileto (IV secolo
a.C.), noto anche come paradosso del mentitore, il quale, nella sua forma più semplice, recita:
“Il cretese Epimenide afferma che il cretese è bugiardo”
In tale forma, suggerita dalla logica proposizionale, ogni affermazione esprime una descrizione
di tipo dicotomico. Al contrario, nella logica predicativa ogni proposizione esprime un insieme
di descrizioni simili o di fatti atomici, come nella frase tutti i cretesi sono bugiardi. Si noti che,
a rigor di logica (bivalente), una formulazione del paradosso contenente tale frase è falsa, in
quanto è vera la sua negazione: la negazione di tutti non è nessuno, ma non tutti, quindi non
tutti i cretesi sono bugiardi, Eubulide è un bugiardo, ed essendo vera la sua negazione, l’affermazione di Eubulide risulterebbe falsa.
Ad ogni modo, il paradosso del mentitore nella sua forma proposizionale appartiene alla classe
dei paradossi di autoriferimento. Ogni membro di questa classe presenta una struttura del tipo:
“La frase seguente è vera
La frase precedente è falsa”
o in maniera più sintetica:
“Questa frase è falsa”
Orbene, la logica aristotelica si dimostra incapace di stabilire se queste proposizioni siano vere
o false. Essa è strutturalmente incapace di dare una risposta proprio in quanto bivalente, cioè
proprio perché ammette due soli valori di verità: vero o falso, bianco o nero, tutto o niente; ma
giacché il paradosso contiene un riferimento a sé stesse, non può assumere un valore che sia
ben definito (o vero o falso) senza autocontraddirsi: ciò implica che ogni tentativo di risolvere la
questione posta si traduce in un’oscillazione senza fine tra due estremi opposti. Il vero implica
il falso, e viceversa.
Secondo Bart Kosko, uno dei più brillanti allievi di Zadeh, infatti, se quanto afferma Epimenide
è vero, allora il cretese mente: pertanto, poiché Epimenide è cretese, quindi mente, dobbiamo
concludere che egli dice il vero. Viceversa, se l’affermazione di Epimenide è falsa, allora il cretese
Epimenide non mente, e pertanto si deduce che egli mente.
Da ciò si deduce finalmente che l’enunciato del paradosso non è né vero né falso, ma è semplicemente una mezza verità o, in maniera equivalente, una mezza falsità. Le due possibili
conclusioni del paradosso si presentano nella forma contraddittoria A e non-A, e questa sola
contraddizione è sufficiente ad inficiare la logica bivalente. Ciò al contrario non pone alcun problema alla logica fuzzy, poiché, quando il cretese mente e non mente allo stesso tempo, lo fa
solo al 50%.
Esempio: applicare la Fuzzy Logic a situazioni reali
Una semplice applicazione potrebbe essere la categorizzazione in sotto ranghi di una variabile
continua. Per esempio, la misura di una temperatura per un sistema anti-blocco di un impianto
frenante potrebbe avere diverse funzionalità a secondo di particolari range di temperature per
controllare i freni nella maniera corretta. Ogni funzione mappa un certo range di temperatura,
come valori booleani 0 o 1 a seconda che la temperatura sia o meno nel range specifico.
Questi valori booleani possono essere utilizzati per determinare la maniera in cui i freni devono
essere controllati.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Indefinita, il pensiero fuzzy è un approccio logico, un “mettersi nell’ordine di idee” più che una
vera e propria tecnica.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
N/D
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Il fuzzy thinking è un impostazione di tipo logico del pensiero che sfi ora quasi la teoria fi losofi -
ca e che per altro si serve di complesse formule matematiche. Essa, come è già stato detto,
è ciò che più si avvicina alla rappresentazione delle modalità di pensiero della mente umana,
ma d’altra parte è in confl itto con la logica aristotelica, che è la base della maggior parte del
pensiero occidentale. Per questi motivi potrebbe risultare diffi cile o addirittura sgradito entrare
nell’ordine di idee “fuzzy”.
Fuzzy è il termine a effetto che il logico Lofti Zadeh scelse negli anni Sessanta, in virtù del suo sapore anticonformistico e antiaccademico, per ribattezzare e rilanciare un settore della logica matematica che aveva dietro di sè un storia peraltro rispettabilissima e tutt'altro che antiaccademica che risaliva a Bertrand Russel e a Jan Lukasiewicz.
FINALITA' : contesto per la quale appare particolarmente indicata
Nel 1964 Zadeh osservò che gli elementi chiave del pensiero umano non sono numeri ma etichette
d’insiemi fuzzy: il nostro cervello è pieno d’insiemi fuzzy, anzi il pensiero non è altro che
un gioco con gli stessi. Infatti una delle più sorprendenti capacità del cervello umano, tuttora non
riproducibile dalle intelligenze artificiali, è quella di assumere informazioni approssimandole.
Agli inizi degli anni ’90 si produce un fatto nuovo ed egualmente importante: oltre al successo
dei suoi prodotti fuzzy, il Giappone deve prendere atto del fallimento dell’A.I. e dei computer di
V generazione, interamente basati sulla logica bivalente.
L’intelligenza artificiale (A. I.) fu fondata nel 1956, nel corso di una celebre conferenza al Dartmouth College (U.S.A), alla quale, tra gli altri partecipò H. Simon, a cui fu successivamente
attribuito il premio Nobel per l’economia sui suoi studi riguardanti i processi decisionali del
management, oggetto di studio anche dell’A.I., poiché tali processi si svolgono in un quadro di
razionalità limitata, avendo a disposizione tempi ristretti e conoscenze parziali.
Dopo aver assistito agli insuccessi dei progetti di A.I. si è potuto verificare che con la logica
fuzzy si potevano costruire macchine sempre più intelligenti semplicemente “calcolando con le
parole”, frase con cui lo stesso Zadeh ha qualificato la logica fuzzy.
Il “calcolo con le parole”, quindi, è attuato da ognuno di noi quotidianamente: nelle singole
azioni che ogni individuo compie, opera come un sistema di controllo (fuzzy) risolvendo delle
inferenze qualitative senza ricorrere a modelli matematici. La logica fuzzy si propone appunto
di risolvere problemi con regole empiriche e qualitative.
Zadeh ritiene la complessità e la precisione inversamente proporzionali: se cresce la complessità
del problema diminuisce la possibilità di analizzarlo in termini precisi. In questi termini il
pensiero fuzzy può essere legittimo se rende possibile la soluzione di problemi troppo complessi
per essere analizzati. meticolosamente.
Infatti i giapponesi, in virtù di tali considerazioni, riescono a costruire treni confortevoli che reagiscono in modo ottimale alle sollecitazioni esterne e le correggono nel miglior modo possibile.
Un’applicazione molto nota è stata realizzata dall’HITACHI, per il controllo della frenatura dei
treni della metropolitana di Sendai.
Con solo 54 regole fuzzy il sistema riesce a far accelerare e decelerare i treni più dolcemente,
senza mai sbagliare la posizione d’arresto. Il sistema non ha mai dato alcun problema d’affidabilità e consente, inoltre, una riduzione del 15% del consumo d’energia. Il sistema è entrato in funzione nel luglio del 1987, ma era stato sottoposto a altre 320000 simulazioni e prove reali non riscontrando nessuna anomalia nel funzionamento.
PROCESSO: modalità di esecuzione e di applicazione della tecnica
La teoria degli insiemi fuzzy costituisce un’estensione della teoria classica degli insiemi poiché
per essa non valgono i principi aristotelici di non-contraddizione e del terzo escluso (detto
anche “tertium non datur”). Si ricorda che, dati due insiemi A e !A (non-A), il principio di non contraddizione stabilisce che ogni elemento appartenente all’insieme A non può contemporaneamente appartenere anche a non-A; secondo il principio del terzo escluso, d’altro canto, l’unione di un insieme A e del suo complemento non-A costituisce l’universo del discorso.
In altri termini, se un qualunque elemento non appartiene all’insieme A, esso necessariamente
deve appartenere al suo complemento non-A.
Tali principi logici conferiscono un carattere di rigida bivalenza all’intera costruzione aristotelica,
carattere che ritroviamo, sostanzialmente immutato ed indiscusso, sino alla prima metà del XX
secolo, quando l’opera di alcuni precursori di Zadeh (in primis Max Black e Jan Łukasiewicz)
permette di dissolvere la lunga serie di paradossi cui la bivalenza della logica classica aveva
dato luogo e che essa non era in grado di chiarire.
Il più antico e forse celebre di tali paradossi è quello attribuito ad Eubulide di Mileto (IV secolo
a.C.), noto anche come paradosso del mentitore, il quale, nella sua forma più semplice, recita:
“Il cretese Epimenide afferma che il cretese è bugiardo”
In tale forma, suggerita dalla logica proposizionale, ogni affermazione esprime una descrizione
di tipo dicotomico. Al contrario, nella logica predicativa ogni proposizione esprime un insieme
di descrizioni simili o di fatti atomici, come nella frase tutti i cretesi sono bugiardi. Si noti che,
a rigor di logica (bivalente), una formulazione del paradosso contenente tale frase è falsa, in
quanto è vera la sua negazione: la negazione di tutti non è nessuno, ma non tutti, quindi non
tutti i cretesi sono bugiardi, Eubulide è un bugiardo, ed essendo vera la sua negazione, l’affermazione di Eubulide risulterebbe falsa.
Ad ogni modo, il paradosso del mentitore nella sua forma proposizionale appartiene alla classe
dei paradossi di autoriferimento. Ogni membro di questa classe presenta una struttura del tipo:
“La frase seguente è vera
La frase precedente è falsa”
o in maniera più sintetica:
“Questa frase è falsa”
Orbene, la logica aristotelica si dimostra incapace di stabilire se queste proposizioni siano vere
o false. Essa è strutturalmente incapace di dare una risposta proprio in quanto bivalente, cioè
proprio perché ammette due soli valori di verità: vero o falso, bianco o nero, tutto o niente; ma
giacché il paradosso contiene un riferimento a sé stesse, non può assumere un valore che sia
ben definito (o vero o falso) senza autocontraddirsi: ciò implica che ogni tentativo di risolvere la
questione posta si traduce in un’oscillazione senza fine tra due estremi opposti. Il vero implica
il falso, e viceversa.
Secondo Bart Kosko, uno dei più brillanti allievi di Zadeh, infatti, se quanto afferma Epimenide
è vero, allora il cretese mente: pertanto, poiché Epimenide è cretese, quindi mente, dobbiamo
concludere che egli dice il vero. Viceversa, se l’affermazione di Epimenide è falsa, allora il cretese
Epimenide non mente, e pertanto si deduce che egli mente.
Da ciò si deduce finalmente che l’enunciato del paradosso non è né vero né falso, ma è semplicemente una mezza verità o, in maniera equivalente, una mezza falsità. Le due possibili
conclusioni del paradosso si presentano nella forma contraddittoria A e non-A, e questa sola
contraddizione è sufficiente ad inficiare la logica bivalente. Ciò al contrario non pone alcun problema alla logica fuzzy, poiché, quando il cretese mente e non mente allo stesso tempo, lo fa
solo al 50%.
Esempio: applicare la Fuzzy Logic a situazioni reali
Una semplice applicazione potrebbe essere la categorizzazione in sotto ranghi di una variabile
continua. Per esempio, la misura di una temperatura per un sistema anti-blocco di un impianto
frenante potrebbe avere diverse funzionalità a secondo di particolari range di temperature per
controllare i freni nella maniera corretta. Ogni funzione mappa un certo range di temperatura,
come valori booleani 0 o 1 a seconda che la temperatura sia o meno nel range specifico.
Questi valori booleani possono essere utilizzati per determinare la maniera in cui i freni devono
essere controllati.
DURATA: eventuale tempo di esecuzione
Indefinita, il pensiero fuzzy è un approccio logico, un “mettersi nell’ordine di idee” più che una
vera e propria tecnica.
STRUMENTI: eventuale strumentazione di supporto
N/D
CONSIDERAZIONI: eventuali difficoltà o controindicazioni nell’applicazione
Il fuzzy thinking è un impostazione di tipo logico del pensiero che sfi ora quasi la teoria fi losofi -
ca e che per altro si serve di complesse formule matematiche. Essa, come è già stato detto,
è ciò che più si avvicina alla rappresentazione delle modalità di pensiero della mente umana,
ma d’altra parte è in confl itto con la logica aristotelica, che è la base della maggior parte del
pensiero occidentale. Per questi motivi potrebbe risultare diffi cile o addirittura sgradito entrare
nell’ordine di idee “fuzzy”.
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